Bruno Rosano è un escursionista fuori dagli schemi, di quelli che non temono i terreni difficili. Ha esplorato in lungo e in largo la sua terra di origine, la valle Maira, cui ha dedicato libri, cartine e calendari. Nel 2016 ha subìto un trapianto di cuore, una batosta che non l’ha fermato visto che da allora ha salito centocinquanta tremila. Bruno è un lupo solitario, per sua stessa ammissione un carattere difficile. Ci troviamo al parco fluviale di Cuneo, dove mi dà appuntamento dopo aver lasciato la nipotina alla figlia che abita poco distante.
Parlami di te.
Nacqui a Pratorotondo, una delle borgate abitate più alte della valle Maira, dove vissi fino ai sei anni. Scendemmo a Dronero nell’autunno del ’59. La “scusa” era che dovevo iniziare le elementari: la scuola più vicina era a Chialvetta e d’inverno con la neve sarebbe stato un problema. In realtà in quegli anni si era ormai capito che la vita in montagna era finita. Si creò una concorrenza spietata per cercare di venire via senza dirlo agli altri: ogni famiglia aveva paura di rimanere l’ultima. Nell’arco di due inverni, tra il ’59 e ’60, siamo letteralmente scappati tutti.

Si creò una concorrenza spietata per cercare di venire via senza dirlo agli altri: ogni famiglia aveva paura di rimanere l’ultima. © Valerio Dutto
A Pratorotondo c’erano altri tuoi coetanei?
Oggi si parla di lockdown, di bambini isolati. Fino ai sei anni non ho quasi visto coetanei: a Pratorotondo c’era solo una ragazzina che aveva cinque anni più di me. D’estate salivamo per tre mesi in alpeggio dove c’eravamo solo io e mia madre.
Scesi a valle fu difficile ambientarsi?
A Dronero dovetti iniziare da zero: parlavo solo occitano, qualche parola di piemontese, l’italiano non lo conoscevo. Non fu facile, non parlavo la lingua, non avevo amici. In più c’era una sorta di razzismo verso la gente di montagna, in modo dispregiativo ci chiamavano “vitun”. Dovetti farmi le ossa e per il primo inverno me le presi. Poi mi feci furbo: ero bravo a tirare palle di neve e i compagni iniziarono a rispettarmi.
Hai mantenuto il legame con la montagna?
Fino alla metà degli anni sessanta tornavamo in alpeggio ogni estate. Poi il legame si è perso. Allora si malediceva la montagna: non c’erano strade, la vita era grama, non c’erano alternative.
Oggi sto ristrutturando la grangia di famiglia. C’è un legame forte, molto più di tutte le case in cui ho vissuto dopo. In pianura se compri una casa guardi esclusivamente il valore economico e la comodità.
Nel film “Il vento fa il suo giro” si considera l’occitano come un tipo razzista, diffidente, che non accoglie, però noi siamo veramente affezionati a ogni muro, pietra, albero. Quando ero piccolo e mi allontanavo con le mucche avevo solo il cane, una scatoletta di Simmenthal, una di sardine e giocavo con due pigne. Il mio mondo era quello. Ricordo che nascondevo sotto a una pietra le scatolette di Simmenthal. Dopo cinquantacinque anni sono andato a cercarle ed erano ancora lì. Ritrovarle è stata una grande emozione.
Vicino a Viviere c’è ancora oggi un grandissimo larice con la punta spezzata. Mi faceva da meridiana: sapevo che quando l’ombra si spostava su una particolare pietra era l’ora di chiamare il cane e portare giù le mucche. Ripassare in quei posti per me ha un grande valore. La città è di tutti e di nessuno. In montagna tengo a ogni cosa: è la mia vita, la mia memoria.
Dal punto di vista sportivo quando hai iniziato a frequentare la montagna?
Negli anni sono sempre andato in montagna, in particolare facevo sci alpinismo, ma un posto valeva l’altro. Arrivato ai cinquant’anni mi sono sentito in debito verso la mia terra. Ero scappato, non avevo fatto niente per la mia borgata che stava morendo.
La tua carriera editoriale è iniziata per questo motivo?
Ho unito la passione per lo sci alpinismo, per la scrittura e per la tecnologia visto che lavoravo come tecnico informatico all’ENEL. Un modo per togliermi il senso di colpa, per incentivare un certo tipo di turismo che poteva essere l’unica fonte di rinascita per la mia valle. Ho pubblicato nel 2004 il primo libro, Charamaio mai en Val Maira, “nevica ancora in val Maira”. Sono istintivo, quando ho delle idee cerco di concretizzarle, senza pensarci più di tanto.
Mi divertii ma fu molto impegnativo. Sugli sci è tutto più difficile: una volta nevica, una volta fa brutto, in alcuni posti sono dovuto tornare tre volte. Feci tutto nell’inverno tra il 2003 e il 2004: più di cento gite e 110.000 m di dislivello. Quando lavoravo solo il pomeriggio andavo la mattina, concentrai tutte le ferie quell’inverno. Non avevo la minima idea di come si realizzasse un libro. Non avendo appoggi politici ero tagliato fuori dai finanziamenti, feci tutto per conto mio. Per fortuna andò bene, forse perché le altre opere di sci alpinismo coprivano zone molto ampie e descrivevano gite molto conosciute. Cercai di essere innovativo mettendo grandi fotografie. La parte grafica è fatta completamente da me, utilizzando i programmi di editing delle foto, di impaginazione. È stato un modo per imparare cose nuove.
Di Charamaio pubblicai la seconda edizione nel 2012 e la traduzione in tedesco nel 2017. Nel 2006 uscì il mio libro fotografico, Chappuei en val Maira.

Il libro fotografico di Bruno Rosano, Chappuei en val Maira © Valerio Dutto
Poi pubblicai due carte, Chaminar en Val Maira, oggi alla terza edizione, ed Esquiar en Val Maira. Nel 2020 diedi alle stampe l’ultimo libro: Val Maira a pè.
Mi sento in debito con la mia valle, mi sembra giusto farlo per me, per le attività, per dare il mio piccolo contributo. Come il calendario, che è nato un po’ per caso. Lo faccio dal 2007, saltai solo un anno.
Adesso sto scrivendo una commedia in occitano, una cosa non commerciale. L’occasione per imparare a scrivere questa lingua, perché non vada persa. Se i greci non avessero scritto noi non sapremmo neanche che esiste il greco antico.
La tua vita è stata stravolta da un infarto.
Cercavo di conciliare famiglia e lavoro. Facevo podismo e andavo in bici a livello dilettantistico. Avendo poco tempo tiravo sempre al massimo. Il 10 agosto del ’93, il giorno in cui le mie due figlie gemelle Marta e Silvia compivano cinque anni, andai da solo in bici alla diga della Piastra. A differenza del solito quel giorno me la presi comoda perché avevo ottenuto mezza giornata di ferie. Verso le 15 cominciai a sentire male al braccio sinistro. Pensavo fosse uno dei soliti dolori. Riuscii a tornare a casa fermandomi decine di volte, ci misi quattro ore. Chiamai la guardia medica che mi consigliò di prendere un Buscopan. Visto che non passava andai al pronto soccorso. Nessuno pensò all’infarto perché non avevo fattori di rischio: ero giovane, sportivo, non fumavo, il peso era normale. Quando, grazie a un esame particolare, si accorsero che avevo un infarto in corso erano passate dodici ore. Ormai era irreversibile, metà del mio cuore si era necrotizzata.
Mi dissero di cercare di andare avanti così, divano e poltrona, «cercati un appartamento al piano terreno perché sarà un problema fare le scale». A 39 anni mi crollò il mondo addosso.

A 39 anni mi crollò il mondo addosso. © Valerio Dutto
Non sono uno che si arrende facilmente. Cominciai a camminare dieci, venti, cento metri. Mi sembrava un risultato eccezionale. Cominciai a corricchiare: più andavo e più stavo meglio. I medici mi dissero di continuare.
Con l’allenamento riuscii a sopperire alla metà mancante del cuore. Mi sembrava di essere guarito: a cinquant’anni andavo in montagna al passo di ragazzi molto più giovani.
Poi però la situazione è di nuovo peggiorata.
Vent’anni dopo, nel 2013, successe di nuovo. Durante una gita non riuscii più ad andare avanti o indietro. Il mio cuore, cercando di compensare la mancanza, si era ingrossato in modo esagerato da una parte. Stava scoppiando, le valvole cardiache non tenevano più. I medici provarono la strada dell’intervento, ma senza molta speranza. Potevano rattoppare la valvola, il cuore no: ne tagliarono una parte cucendo quel poco che rimaneva. Lasciarono solo le funzioni vitali, non riuscivo più a fare la rampa del garage, ogni giorno peggiorava. È stato un periodo molto difficile. Avevo paura di svegliarmi la mattina e ritrovarmi nella realtà, sapendo che non era un sogno.
Dopo sei mesi entrai in lista per un trapianto. Dovetti aspettare due anni e mezzo. Non avevo notizie, non mi dicevano nulla perché non sapevano e non potevano darmi illusioni. Addirittura pensai si fossero dimenticati di me.
Per essere scelti per un trapianto occorrono molti fattori: quello essenziale è la compatibilità, poi l’urgenza. Il mio caso era urgente, ma mi alzavo ancora dalla sedia. Per ogni cuore disponibile chiamano due o tre persone, così che se uno rinuncia, se all’ultimo minuto qualcosa non quadra, hanno l’alternativa. La prima volta dissero che non ero compatibile. La seconda, il 17 novembre 2016, fu quella buona. Ero il trapiantando ideale, i valori di base erano tutti perfetti.
Il grosso problema del trapianto è gestire il rigetto dopo. Se assumi troppi medicinali carichi fegato e reni, se ne assumi pochi c’è il rigetto: bisogna bilanciare le cose. Con i nuovi farmaci c’è stata una grande evoluzione. Li devo prendere tutti i giorni, una manciata al mattino e una alla sera.
Sai da chi arriva il tuo cuore?
So solo che arriva da un uomo della periferia di Torino, mi hanno detto che ha avuto un incidente. Mi farebbe piacere far sapere alla sua famiglia quanto ho apprezzato il gesto che mi ha ridato la vita. È importante far capire l’importanza di diventare donatore, per ridare vita a qualcuno. Per questo voglio impegnarmi per dare una speranza a chi era nelle mie condizioni e per dare la forza di continuare a chi è trapiantato.
La medicina è a un livello tale per cui posso solo elogiare chi mi ha curato fino a oggi. Non ho pagato un centesimo, mi hanno salvato la vita due o tre volte. Tutto perfetto.
Quando hai ripreso a fare attività fisica?
Mi dicevano di fare più attività che potevo. È come se avessero detto a una buona forchetta di mangiare più dolci: sono andato a nozze. Il primo anno è stato difficile, poi le cose iniziarono a migliorare. Sono stato fortunato.
Al punto che oggi hai in progetto di salire tutti i tremila dell’Occitania.
Ho bisogno di obiettivi: il primo fu il libro di sci alpinismo, poi la cartina, poi il libro dei sentieri. Se ho qualcosa per la testa cerco di portarla a termine. La valle Maira iniziò a starmi stretta. Girai nelle valli vicine, poi mi dissi «perché non fare l’Occitania?», intendendo quella che viene considerata a livello linguistico, culturale. Pensavo fossero un’ottantina di tremila al massimo. Oggi ne ho contati 277, ma tutti i giorni ne trovo qualcuno e lo aggiungo. In tre anni ne ho saliti 149, andando solo da luglio a settembre perché a giugno c’è ancora neve. La maggior parte li faccio in giornata partendo da casa prestissimo.
Lo scorso anno feci nove tremila di fila intorno al colle del Moncenisio. Salii anche il Monviso da Castello, 2.300 metri di dislivello. Ma sono tornato quest’estate perché non avevo pensato di fare punta Nizza, di pochi metri più bassa della cima principale, pur essendo a tutti gli effetti una punta a sé stante.
Vai sempre da solo?
Nove volte su dieci sì. Già quando facevo sci alpinismo nessuno mi accompagnava perché andavo a infognarmi nei posti difficili. Chi veniva con me non tornava una seconda volta. Eppure questo mi ha permesso di scoprire tanti posti nuovi. Da quando li ho descritti sui miei libri la gente li frequenta: sapendo che si può andare è un altro discorso, vai con tutto un altro spirito.
Quindi non puoi assicurarti.
Vado senza corda: nei posti in cui vado non potrei autoassicurarmi o fare una doppia. Faccio molto ravanamento, gite lunghe. Sono talmente abituato ad andare nel brutto che anche le cose mediocri le trovo belle.
Hai fatto anche dei quattromila?
Quest’anno, con due amici, abbiamo fatto il Balmenhorn e la piramide Vincent, che è un 4.200. Abbiamo rinunciato alla punta Gnifetti del Monte Rosa perché faceva troppo brutto. Ci sono però salito la settimana successiva: una bella soddisfazione arrivare a 4.554 metri. In giornata, senza fermarmi al rifugio.
Non senti di portare al limite il tuo nuovo cuore?
No, assolutamente. I primi tempi avevo paura, chiedevo ai medici che cosa potevo fare. Loro mi rispondevano «faccia quello che si sente.» Lo scorso anno dopo una visita chiesi «sto facendo dei tremila, va bene?», «non c’è problema». Dopo essere andato sul Monviso chiesi «posso andare sul Cervino?», mi risposero «ma sì!».
Lunedì ho fatto trenta chilometri su un tremila, martedì ne ho fatti dieci camminando, ieri un altro tremila, oggi sto passeggiando con te. Sto bene. Partecipo a una sfida a livello mondiale di trapiantati chiamata The Billion Steps Challenge dove, per invogliare a fare sport e migliorare le condizioni dei trapiantati, si premia la squadra che fa più passi. Lo scorso anno ho partecipato agli europei dei trapiantati vincendo due medaglie d’oro.

Bruno mi mostra l’app The Billion Steps Challenge. Fa una media di 18.000 passi al giorno! © Valerio Dutto
Dopo l’infarto e il trapianto la voglia di vivere è talmente alta che mi ha cambiato qualsiasi considerazione. Qualsiasi cosa la vivo dieci volte più intensamente, qualsiasi emozione è più forte. Non voglio perdere un secondo, ho sempre voglia di fare. Dovessi stare mezza giornata a letto non resisterei, mi sembrerebbe di sprecare tempo.
Il tema del momento sono i vaccini. Cosa ne pensi?
La medicina mi ha salvato la vita, dovrei avere delle remore per un vaccino? Non sono in grado di valutare se è giusto o ben fatto, ma se le stesse persone che mi hanno salvato la vita me lo consigliano lo faccio a occhi chiusi. Ho già fatto la terza dose, penso sia l’unico modo per liberarmi dalla schiavitù. La libertà ce la tolgono i no vax: se fossimo tutti vaccinati non esisterebbe il green pass.
Sei appassionato di fotografia?
Per me è una passione secondaria rispetto all’andare in montagna. Mi piace, come mi piace fare i rilievi per le cartine. Ma non porto una macchina fotografica pesante, perché vorrebbe dire sacrificare la gita. Devo guardare il grammo: se ne ho dieci in più magari non riesco ad arrivare in punta. Per questo uso una compatta Sony RX100 VI (vedi su Amazon): è comodissima, la metto nel taschino, ha il peso di un cellulare, è come non averla. Rinuncio alla massima qualità per avere qualcosa con cui riesco a cavarmela ugualmente.
Torni ancora in valle Maira?
Ho avuto i miei problemi, li ho tutt’ora, cerco di conviverci, il peso di essere scappato non dico di essermelo tolto dalla coscienza, ma ho fatto quello che potevo. Ora non ho più l’ossessione.
Il problema della valle Maira è che su cento locande almeno novanta sono gestite da persone che vengono da fuori e che si fermano solo per la stagione estiva. Se vai adesso [fine settembre, n.d.r.] è già tutto chiuso. Fin che non vediamo bambini scorrazzare tra le strade delle borgate anche a novembre vuol dire che qualcosa non funziona. C’è bisogno di gente come Rolando Comba, il gestore dell’osteria della Gardetta: se qualcosa non va lui c’è, se s’intasa il canale va a liberarlo. Come il malgaro di una volta, che mantiene il territorio.
Qual è la tua gita preferita?
Non ho una gita preferita.
Ce ne sarà una che ti è piaciuta più…
Forse la traversata della Tête de l’Homme. Per me è l’essenza dell’andare per monti. Non è per tutti, ma si fa relativamente bene, c’è solo un passaggio esposto. La roccia, considerando la zona, non è malaccio: non ti sta tutto in mano se fai attenzione a dove metti le mani. Rispetto all’Aiguille de Chambeyron è rose e fiori.

Bruno mi mostra alcune immagini tratte dai suoi libri © Valerio Dutto
Siamo tornati all’auto. Ringrazio Bruno per la lunga chiacchierata e per aver condiviso con noi la sua storia: mi sembra incredibile che dopo un trapianto di cuore possa fare cose che sarebbero notevoli per ragazzi in perfetta forma. Ringrazio anche i nostri supporter: le Cuneotrekking stories esistono solo grazie a voi!
Bruno ci ha lasciati il 6 aprile 2022. Porteremo sempre con noi il ricordo della sua straordinaria testimonianza. Siamo felici di aver avuto la possibilità di raccontarla.
Luca B Supporter
20/10/2021 alle 11:23
Grazie per aver intervistato il signor Rosano…ero già un grandissimo amante della valle Maira ma grazie ai suoi libri lo sono diventato ancora di più
Marco Supporter
20/10/2021 alle 11:29
Bella storia.
Abbiamo bisogno di leggere storie così.
Un esempio per tutti.
Grazie per avercela fatta conoscere.
Stefania
20/10/2021 alle 14:01
Bellissima testimonianza non solo per come trasmette ll amore per la montagna ma oer come ha affrontato, combattuto e vinto ol suo problema cardiaco..un grande.
Giuliana Micol
20/10/2021 alle 21:08
È bello che qualcuno sappia scrivere quello che la montagna era considerata qualche decennio fa e a tanti come me che lo leggono gli si allarga il cuore perché non totalmente ma sono i ricordi più cari della propria infanzia e giovinezza …
Albino
20/10/2021 alle 14:10
Grazie Valerio per averci raccontato “una bella storia”. Ho avuto il piacere, tramite Cuneotrekking, di aver colloquiato con Bruno Rosano durante l’acquisto di cartine della Val Maira e del libro “Val Maira a pe'”! Ho subito capito che è un tipo tosto e che ama la sua valle. Bel personaggio! Spero che legga questi appunti, attraverso i quali lo saluto con molto rispetto!
Bruno R.
21/10/2021 alle 20:49
Albino, leggo e ringrazio per aver apprezzato…
Barbara
20/10/2021 alle 15:08
Leggere della ValMaira attraverso i passi e gli occhi di Rosano in questo momento e’un messaggio forte,stimolante,un invito a non mollare mai e a ripartire ,percorrendo nuovi passi ,cercando nuovi obbiettivi. GRAZIE
Fulvio Supporter
20/10/2021 alle 15:25
Bellissimo articolo un vero amante dei nostri monti
Elio Dutto
20/10/2021 alle 20:41
Ciao Bruno, a una prima lettura mi verrebbe da dirti che sei matto da legare. Ma leggendo bene la tua bellissima testimonianza sono certo che sia una lezione di vita per tutti noi, specialmente quando essa ci presenta difficoltà e momenti bui che sembrano insuperabili. E invece… tu ci dimostri che se affronti le difficoltà con coraggio e con la voglia di vivere, senza lasciarti abbattere, riesci anche a invertire la sorte. Ti faccio i miei migliori auguri!
Bruno Rosano
21/10/2021 alle 20:51
Grazie Elio! In quanto a saper combattere, non hai bisogno di insegnamenti…
David
23/10/2021 alle 01:02
Génial de voir Eliano et Bruno discutant ensemble, vous êtes 2 modèles d’amoureux de la montagne, des modèles pour nous les amateurs . Grazie mille
Elio Dutto
23/10/2021 alle 12:57
Merci David pour tes gentils mots.
Rosanna
23/10/2021 alle 12:45
Che dire un uomo eccezionale
Per chi cammina uno stimolo a non arrendersi di fronte alle difficoltà che la vita ti pone continuamente. Grazie.
carlo
08/11/2021 alle 19:47
Ho una storia sanitaria molto simile a quella di Bruno, anche se io sono stato in lista per 7 anni e i compagni di salite mi citavano sempre il caso di successo di Bruno.
Il 21.10 un amico mi ha “girato” l’intervista ..
. e’ stata profetica: la notte stessa mi hanno annunciato che il nuovo organo era disponibile. Dal 22.10 ho il il “nuovo motore”, per ora tutto OK
E cresce in me la voglia di sudare di nuovo, sci,MTB, piedi tutto va bene per salire verso il cielo e scrutare dall’alto nuovi e vecchi orizzonti
Ieri ho telefonato a Bruno per un primo confronto
Grazie Bruno, per quello che sei, per quello che hai fatto e ancora farai, segni comunque una traccia che resisterà ai venti e alle precipitazioni
Valerio Dutto
08/11/2021 alle 20:36
Che bella testimonianza, Carlo. Sei anche tu del cuneese? Mi auguro di incontrarti in montagna da qualche parte!
Luca B Supporter
10/04/2022 alle 14:41
Ciao Bruno grazie per averci fatto conoscere ed appassionare alla tua Valle,la Valle Maira.
Buona Scalata.