Paolo Girodengo è un operaio forestale, una figura professionale a cui dobbiamo tanto visto che si occupa della manutenzione della rete sentieristica. Ma come si pulisce un sentiero? Come si trasporta il materiale in quota? Per vent’anni Paolo ha lavorato come caposquadra in valle Gesso e ora è di servizio in valle Stura. Sono andato a trovarlo sulle colline di Gaiola per farmi spiegare come funziona questo affascinante e faticoso lavoro.
Parlami di te.
Sono nato a Moiola all’ombra del monte Saben. Sono del ’79, il più piccolo di tre fratelli. Sono sempre vissuto nei boschi, all’aria aperta. Davanti e dietro casa passava la pista di sci di fondo della Promenado, è stato inevitabile arrivare a livelli quasi professionistici. Oltre che operaio forestale oggi sono maestro di sci e accompagnatore naturalistico.

Ritratto di Paolo Girodengo © Valerio Dutto
Pur essendo della valle Stura hai dedicato buona parte della tua vita professionale alla valle Gesso.
Per vent’anni sono stato caposquadra in valle Gesso. È un territorio magnifico: laghi, montagne, rifugi, sentieri fantastici. Ma la maggior parte delle persone si concentra nei confini del parco. Ho lavorato per anni a Roaschia dove passano solo cacciatori o cercatori di funghi. Da settembre mi sono spostato in valle Stura. Qui è diverso, le persone si sparpagliano di più. Decidere cosa sistemare è più complesso.
Cosa ti spinge a fare questo lavoro?
Mi piace scoprire la storia del sentiero: chi l’ha fatto, per quale motivo. Quando correvo sugli sci facevamo il ritiro in val Senales. Ricordo che un giorno un forte vento fece cadere alcuni alberi sul sentiero. Nel pomeriggio il proprietario era già lì a tagliarli e accatastarli con maestria. Gli chiesi per quale motivo li stesse disponendo con tanta cura. Mi rispose «perché fa bello». Una mentalità che mi porto dietro.

Gli chiesi per quale motivo li stesse disponendo con tanta cura. Mi rispose «perché fa bello». Una mentalità che mi porto dietro. © Valerio Dutto
Cos’è che deteriora i sentieri?
Il nemico numero uno è l’acqua: oggi ci sono temporali che in poco tempo scaricano enormi quantità di pioggia. Il secondo è il passaggio delle bestie: un centinaio di vacche che vanno su e giù distruggono il sentiero in una settimana. Poi l’affluenza: dove non passa nessuno la vegetazione diventa troppo rigogliosa, dove c’è molto passaggio viene trasportata una grande quantità di materiale, anche perché c’è chi cammina bene, chi sbatte, struscia, è stanco.
Da quali sentieri partite?
Li divido in quattro categorie. La prima: gli accessi ai rifugi, le tratte della GTA [Grande Traversata delle Alpi, n.d.r.] e le grandi traversate, sentieri a cui non dovrebbe mai mancare la manutenzione. La seconda: itinerari che pur non portando a strutture sono molto battuti, come l’Alpe di Rittana o i laghi di Roburent. La terza: percorsi scartati dalle masse, come i colli meno conosciuti. Infine la quarta categoria: i sentieri ormai abbandonati che non sono neanche segnati sulle carte Fraternali.
A cosa dare la priorità?
Bisogna avere una visione a lungo termine sulla base delle forze di cui si dispone. In valle Gesso la nostra squadra gestiva centotrenta chilometri di sentieri. A inizio stagione con il direttore lavori facevamo un calendario. Ai sentieri principali dedicavamo alcuni giorni di manutenzione e poi qualche passaggio periodico per togliere le pietre e pulire le canaline.

Bisogna avere una visione a lungo termine sulla base delle forze di cui si dispone. © Valerio Dutto
Avevamo la nostra scaletta. I primi di agosto c’è la festa alla Madonna del colletto, per cui a fine luglio facevamo una passata al sentiero per dargli una sistemata o tagliare l’erba. Al rifugio Livio Bianco sapevamo che a inizio stagione sarebbero salite un migliaio di pecore all’alpeggio, per cui dedicavamo alcuni giorni per togliere le pietre e ripristinare il passaggio.
È più importante ripristinare un sentiero o farne uno nuovo?
Avessi una quantità d’ore illimitata li sistemerei tutti e ne farei di nuovi. Ma non essendo così dobbiamo dare delle priorità. Se fai cose nuove sottrai tempo alla manutenzione. A fine stagione sono andato al colle del Chiapous, ma non avendo fatto la manutenzione ordinaria c’erano un sacco di pietre. Conoidi, massi che si spostano in continuazione, animali, precipitazioni: il lavoro fatto sparisce nel giro di pochissimo tempo. Credo che la priorità debba andare alla manutenzione. Si può fare qualcosa di nuovo solo se avanza tempo.

Credo che la priorità debba andare alla manutenzione. Si può fare qualcosa di nuovo solo se avanza tempo. © Valerio Dutto
Come si incanala l’acqua?
La prima cosa è osservare. Per passione osservo i sentieri nel periodo primaverile, nel disgelo o durante le precipitazioni. Certe venute d’acqua le vedi solo in quel periodo, non quando interveniamo. In questo modo sappiamo quando dobbiamo fare una costruzione per portarle via.
Come si fa il muretto a secco perfetto?
Il trucco è avere la pazienza per fare lo sbanco. È la parte fondamentale, quella che richiede più tempo: fare una fondazione adeguata e uno spessore laterale tale da poter reggere la costruzione, la spinta, l’acqua, il drenaggio. La parte più importante di un muretto a secco è quella che non si vede.
Il muretto deve essere esteticamente bello da vedere, ma quello viene dopo. La struttura deve essere fatta in modo piramidale: una base più larga e con pezzi più grossi così da occupare più superficie possibile e sopportare il peso. Poi non devono esserci pietre sorelle [l’accoppiamento di una pietra vicino all’altra senza incrociarle, n.d.r.], che indeboliscono la struttura.

La perfetta e ipnotica trama di un muretto a secco realizzato da Paolo Girodengo © Valerio Dutto
Ci sono trucchi per ottenere buoni risultati riducendo gli sforzi?
Al rifugio Remondino, dove c’è un sistema detritico che non consolida, con il passaggio le pietre scavano. Nella manutenzione ordinaria passavamo con il rastrello e spostavamo semplicemente le pietre da una parte all’altra del tracciato. Visto che la maggior parte delle persone passa dov’è pulito, con una semplice rastrellata riuscivamo a tenere tutto a posto.
Prendiamo invece un bel sentiero come quello che stiamo percorrendo adesso: quando scende la neve schiaccia le foglie e inevitabilmente i cinghiali iniziano a grufolare alla ricerca di ghiande o castagne. Se invece togliessimo tutto con il soffiatore, il cinghiale grufolerebbe lontano dal sentiero. Ci saremmo tolti il problema con una semplice passata.

Se invece togliessimo tutto con il soffiatore, il cinghiale grufolerebbe lontano dal sentiero. Ci saremmo tolti il problema con una semplice passata. © Valerio Dutto
In alta montagna i pascoli contribuiscono e tenere sotto controllo la crescita dei cespugli. Nelle basse vallate il discorso è diverso, hanno bisogno di più manutenzione. Se non tagli un nocciolo, che come l’acacia cresce in modo esponenziale, dopo un paio d’anni non passi più. Se però tagli un ceppo e gli passi il decespugliatore sopra non riesce a rimettere la parte arbustiva, quindi a fare la fotosintesi, e muore.
Che attrezzatura utilizzate?
Ci sono squadre ben attrezzate, noi lo siamo un po’ meno. La nostra cassetta degli attrezzi è costituita da piccone, rastrello, pala, zappa, palanchini, secchielli per fare i muretti, cazzuole, mazzette, punteruoli, motoseghe, decespugliatori.
Quindi poche cose meccaniche?
Disponiamo di una motocarriola della Bongiovanni di Pianfei, uno dei pochi mezzi meccanizzati incentrati sulla sentieristica. Ha una piccola pala davanti per spostare materiale e un braccio per scavare. Avevamo anche una motocarriola IBEA, di quelle con i rulli sulla parte anteriore sopraelevati per superare qualsiasi masso anche senza aver prima messo a posto il fondo. Abbiamo chiesto alla regione Piemonte di sostituirla, ma ci è arrivata una cinesata. Purtroppo le richieste si perdono nei meandri della burocrazia e dopo due stagioni ti arriva una cosa che non serve assolutamente a nulla, perché comprata da chi non conosce il mestiere.
La mancanza di buona attrezzatura crea inefficienze. Se devo spaccare una roccia prendo il mio scalpello artigianale e con la mazza ci passo tre ore. Con l’attrezzatura giusta accenderei il generatore e impiegherei pochi minuti.

Questa FIAT 126 non fa parte della dotazione degli operai forestali, ma forse poco ci manca © Valerio Dutto
Immagino sia un lavoro faticoso.
C’è molto lavoro manuale. Però a me piace tirare su un muretto, creare le canalizzazioni, ripristinare un lavoro fatto a opera d’arte, anche se non mantenuto e poi andato in decadenza.

C’è molto lavoro manuale. Però a me piace tirare su un muretto, creare le canalizzazioni, ripristinare un lavoro fatto a opera d’arte. © Valerio Dutto
Come trasportate il materiale in quota?
Dove possiamo carichiamo il materiale sulla motocarriola. Nel caso del rifugio Livio Bianco il gestore ci ha offerto più volte a sue spese il volo in elicottero per scaricarla più in alto.
In altre zone, tipo i colli del Chiapous e Fenestrelle, usiamo due zaini bastino della Ferrino per trasportare tutto a spalle. Sono zaini con un rivestimento in alluminio pensati per il trasporto del materiale che utilizzano tantissimi gestori di rifugi. Poi portiamo un cassone di alluminio per lasciare il materiale e le cose da vestire. Gli zaini pesano trenta, anche quaranta chilogrammi.
In valle Gesso a inizio stagione dovevamo tirare fuori dal torrente quel che resta della passerella della Vagliotta che inevitabilmente le valanghe si portano via. Servivano prolunga, corda del tirfor, tirfor, carrucole, rinvii, fasce, gli zaini arrivavano a pesare anche cinquanta chili.
In ogni caso bisogna mettere in conto l’avvicinamento. Raramente partiamo e siamo già lì. Quest’anno abbiamo lavorato al colle del Vej del Bouc: ci trovavamo a Valdieri alle 7, alle 7:45 eravamo al pra del Rasur con la macchina. Poi salivamo di corsa, tanto l’attrezzatura l’avevamo su. Arrivavamo un’ora dopo, sudati marci.

Bisogna mettere in conto l’avvicinamento. Raramente partiamo e siamo già lì. © Valerio Dutto
Non potete usare mezzi meccanici per facilitare l’avvicinamento?
Abbiamo chiesto alla regione Piemonte delle mountain bike elettriche, ma non ce le hanno mai fornite. Sarebbero comodissime perché partiamo sempre a pulire dal basso, quindi fino al punto di partenza il sentiero è già sistemato. Risparmieremmo ore di lavoro, ce le ripagheremmo in pochi mesi.
Quando piove cosa fate?
Ci teniamo qualcosa da fare in magazzino. Burocrazia, manutenzione dell’attrezzatura, pulizia dei mezzi a motore, sistemazione delle motoseghe. Ci creiamo gli strumenti che poi utilizziamo per lavorare sulla sentieristica.
E quando nevica?
Quando proprio non si può lavorare siamo in cassa integrazione. Ma in valle Stura sul versante esposto al sole la neve va via velocemente. Se riusciamo a organizzarci bene ci teniamo le parti ben esposte per l’inverno e d’estate andiamo a lavorare nei posti più freschi. Di tanto in tanto ci chiamano a collaborare in altre zone, come lo scorso anno quando in seguito a una nevicata che aveva spaccato molti alberi andammo al parco fluviale di Cuneo.
Le persone che vi incontrano cosa pensano del vostro lavoro?
Quasi tutti hanno un grande rispetto, in particolare gli stranieri. Qualcuno ci ha addirittura offerto dei soldi, che ovviamente non abbiamo accettato, ma di tanto in tanto ci offrono consumazioni in rifugio.
Certo, lavorare nei giorni intorno a Ferragosto non è facile. C’è sempre chi commenta «quel muretto non tiene, tra quindici giorni è in terra», come se non ci fosse professionalità in quello che facciamo.
Il vostro è un lavoro difficile?
Forse sembra banale perché usiamo attrezzature di base: mazzetta, piccone, pala. Però non è così semplice. Non esistono corsi di formazione, c’è bisogno di impegno e volontà per imparare da soli. Se non mi fossi appassionato continuerei a fare ancora oggi gli stessi errori che facevo una volta.

Se non mi fossi appassionato continuerei a fare ancora oggi gli stessi errori che facevo una volta. © Valerio Dutto
Dopo tutti questi anni ti piace ancora?
È il lavoro più bello del mondo. È vario, sono immerso in una natura meravigliosa. L’unica cosa che ogni tanto mi fa tristezza, sapendo quante ore abbiamo passato a costruire un muretto o fare determinati lavori con la pietra, è che il mondo esterno non ci dà peso. Eppure è da questo che parte la valorizzazione turistica del territorio.

La valorizzazione del territorio parte dai sentieri. © Valerio Dutto
Questa chiacchierata mi ha insegnato a guardare i sentieri in modo diverso. Ringrazio Paolo per il tempo che ci ha dedicato. Ringrazio anche i nostri supporter: le Cuneotrekking stories esistono solo grazie a voi!
Marida
27/12/2021 alle 11:20
Ci vorrebbero centomila Paolo Girodengo e forse le cose funzionerebbero meglio in Italia
Grazie per quello che fai
Paolo Montanari
27/12/2021 alle 11:21
Grazie! Una bellissima e molto istruttiva intervista. Mi ha permesso di conoscere un attività fondamentale per la montagna attraverso la passione di Paolo.
Buone Feste e a presto
Paolo Montanari
Albino
27/12/2021 alle 13:17
E’ bello e interessante apprendere tante cose da personaggi così. Si vedranno con occhi diversi tanti aspetti delle nostre camminate.
Roberto
27/12/2021 alle 15:18
Sono profondamente grato a Paolo x la sua testimonianza ed il suo lavoro.
È grazie a persone come lui che ancora le nostre montagne sopravvivono.
Parlo di Montagne (maiuscolo) fuori dal consumismo esasperato e dallo sfruttamento selvaggio.
Buon lavoro!
Marco
27/12/2021 alle 19:54
Ho trovato l’intervista molto interessante e utile per il mio nuovo impegno col CAI di saluzzo per la sistemazione dei sentieri.
Per carità, noi faremo solamente piccola manutenzione, ma sapere che c’è qualcuno che lo fa in modo professionale, ci dà una spinta a impegnarsi maggiormente.
Sappiamo che fatica c’è dietro a questo lavoro, e siamo grati a persone come Paolo che ci insegnano grandi cose.
Matteo
29/12/2021 alle 19:36
Interessante l ‘articolo su Paolo, io e alcuni amici, cerchiamo di tenere in ordine alcuni sentieri ciclopedonali lungo il naviglio martesa e l’ Adda, niente a che vedere con il lavoro di Paolo ma, cerchiamo di dare il nostro contributo senza chiedere un € a nessuno
Giuseppe Borca
30/12/2021 alle 17:06
Sono a metà tra gli 81 e gli 82 anni. Negli ultimi 30 anni ante Covid ho fatto un trek all’anno con il resto dell’anno a tenersi allenato. Gli ultimi 20 abbiamo formato un gruppo Italo-francese e sono stati stupendi. I sentieri sono stati il nostro camminare e quindi, leggendo questa intervista, non posso mai ringraziarvi a sufficienza per quello che fate voi. Buone feste, buona salute e buon lavoro: ve lo meritate davvero !